Trebbie di birra, cominciamo da qui…
Quando si parla di “farina di birra” è facile dover raccontare la storia dal principio.
Perché, nonostante in Italia siamo ottimi consumatori di birra, in pochi sanno davvero come si fa, quali sono i processi che portano nel bicchiere questa deliziosa bevanda.
Da dove può arrivare una farina? E che aspetto può avere?
Partiamo dalla materia: la trebbia o le trebbie di birra. Si tratta di una massa di orzo esausto, fermentata e idratata che esce bella calda dalla fase di ammostamento. Pesantissima, di un bel colore tostato e dagli aromi leggermente aciduli. Ma che soprattutto cela al suo interno proprietà inaspettate, che fino ad oggi sono state sprecate.
… e poi tanto lavoro!
Studio, ricerche, test, analisi… arrivare alla farina di birra non è stata una passeggiata. Ma poi, tutto d’un tratto, l’ingegnerizzazione del processo è stato un po’ come il lavoro della Fata Turchina che trasforma la zucca in una scintillante carrozza. La nostra bacchetta magica è stato l’elevato contenuto tecnologico, frutto di competenze e spirito di innovazione.
Ci abbiamo messo un po’, perché quando sei il primo a fare una cosa non puoi contare sulla “letteratura”: devi generarla a suon di confronti, flop, prove ed errori… e poi ancora prove.
E così la fase di essiccazione ci ha permesso di scoprire molto sulle caratteristiche delle trebbie di birra. L’ottimizzazione di tempi e metodi di produzione ci hanno consentito di rendere la capacità produttiva di ben 8 volte superiore ai processi tradizionali e di ottenere un prodotto perfettamente sicuro dal punto di vista alimentare.
La trasformazione di upcycling è avvenuta con successo: la trebbia, un prodotto di scarto, ha assunto le inaspettate e buonissime sembianze di una farina ricchissima di fibre e di proteine, dal gusto rustico e caratterizzato.